Le psicoterapie dinamiche brevi
Sono terapie di insight individuali di durata ridotta, il cui termine è stabilito più o meno precisamente in partenza.
Obiettivi
L’obiettivo primario della psicoterapia breve è quello di ridurre il tempo dell’analisi, che dal suo esordio è andato sempre più allungandosi man mano che il suo fine ultimo diveniva sempre più strutturale e meno strategico.
A questo obiettivo se ne sono poi gradualmente aggiunti degli altri, non proprio secondari, nel tentativo di rispondere al rapido aumento della domanda di psicoterapia, all’elevato costo della terapia a lungo termine, all’ampliamento delle indicazioni diagnostiche, al diffondersi della psicoterapia alle istituzioni pubbliche.
Infine è giunto anche il riconoscimento di indicazioni specifiche per questi metodi psicoterapici.
Caratteristiche
Le caratteristiche proprie delle psicoterapie brevi concernono sia la struttura che il processo ed il contenuto.
La struttura è vicina a quella utilizzata nel polo espressivo della psicoterapia psicoanalitica a lungo termine, cioè stabile con frequenza regolare settimanale, sedute di 45’, posizione vis à vis; spesso viene però fatto ricorso al registratore o al video tape. Il dato saliente riguarda il termine della terapia, che spesso è stabilito sin dall’inizio per contratto.
Il processo è caratterizzato dall’aumento dell’attività del terapeuta e dalla focalizzazione. L’“atteggiamento attivo” del terapeuta, preconizzato da Ferenczi negli anni ’20, prevede la possibilità di dare consigli al paziente, ordinare o proibire comportamenti, gratificarlo o frustrarlo per fargli superare le resistenze, i punti morti e portare quindi rapidamente a termine la cura; è la via seguita soprattutto dagli autori americani (Sifneos, Davanloo), che manifestano un “atteggiamento radicale” con uso precoce delle interpretazioni di transfert, atteggiamento incalzante e pedagogico, lotta contro la regressione attuata attraverso la manipolazione della relazione terapeutica e facendo appello alla collaborazione consapevole del paziente. Il concetto di “focus”, proposto da Alexander negli anni ’40, permette invece di delimitare il lavoro analitico all’interno di una determinata area problematica del paziente (il conflitto focale), individuata nel corso delle interviste iniziali; è la via seguita prevalentemente dagli autori europei (Malan, Gilliéron), che prediligono un “atteggiamento conservatore” con mantenimento degli elementi fondamentali della terapia psicoanalitica, come l’atteggiamento non intrusivo ma empatico e neutrale del terapeuta e la gestione controllata della regressione, rifacendosi in qualche modo al concetto freudiano di clichés o riedizioni del transfert ed a quello più recente del “tema relazionale conflittuale centrale” di Luborsky.
Il contenuto può essere definito, con Alexander, come una “esperienza emotiva correttiva” che fa rivivere al paziente il trauma sperimentato con i genitori. Questo può essere di natura edipica o preedipica. Nel primo caso la fase conclusiva è rapida, attraverso la rivisitazione del conflitto. Nell’altro, saranno necessarie più sedute per affrontare il trauma della separazione; se infatti il limite temporale è prestabilito, si determina una situazione che favorisce l’emergenza di quei vissuti legati alla perdita che appaiono specifici del trattamento breve.
Indicazioni
Vista l’importanza del tempo limitato e le sue connessioni con i vissuti di perdita, l’indicazione principale riguarda quei pazienti che appartengono alla vasta area “della separazione e del lutto”. Questa va dai disturbi psicopatologici che seguono ad esperienze traumatiche di perdita reale (i “gravi fatti della vita” di Fenichel) fino ai disturbi di personalità, con reazioni di lutto per perdite legate ad una scelta oggettuale di tipo narcisistico o comunque fantasticate del Sé. Trovano indicazione anche molti quadri che nosograficamente appartengono alla vecchia categoria delle nevrosi attuali o ai più recenti Disturbi Somatoformi e di Panico.