Fiabe e Psicologia
a cura della Dott.ssa Barbara Miele
Fiabe e Psicologia
Conoscete la storia di Rapunzel? Ok per quelli che hanno risposto “no” ecco un breve riassunto. La principessa Rapunzel viene rapita e segregata in una torre da una vecchia che si spaccia per madre della principessa, la quale usa il potere dei suoi magici capelli per mantenersi giovane nonostante lo scorrere del tempo. Poi arriva il solito principe azzurro, questa volta sotto le vesti di un ladro maldestro che, introdottosi nella torre della principessa, fa vedere a Rapunzel com’è il mondo lì fuori. Lei ne rimane affascinata, inizia ad avere dei segreti con la madre, la quale è palesemente contraria al farla uscire, e quindi cerca di dividere i due, ma poi lui taglia i capelli a lei dandole la libertà, lei piange e con la sua lacrima gli salva la vita. Ah, intanto la madre cade dalla torre e muore, mentre Rapunzel ritrova i suoi veri genitori e sposa il ladro…ehm, principe.
Ora, soffermiamoci un attimo sul rapporto tra Rapunzel e la madre, e vedremo quanto c’è proprio poco di “fiabesco”, nel senso che la dipendenza reciproca che lega Rapunzel a Gothel, è molto comune nel mondo reale. La madre Gothel invia a Rapunzel dei messaggi contraddittori, che hanno come scopo il garantirsi il legame con la figlia attraverso sensi di colpa e la convinzione che la principessa non potrebbe esistere senza la madre.
Esempio lampante è il testo della canzone che madre Gothel canta a Rapunzel : “è un bel dramma senza mamma” rende un po’ l’idea di come Gothel abbia voluto far credere a Rapunzel di non essere in grado di badare a se stessa, che il mondo lì fuori presenti mille pericoli e che solo con la mamma tutto questo non esisterebbe. E qualora la principessa facesse anche solo un tentativo di “pensare” per individualizzarsi e diventare ad esempio, autonoma, la madre sarebbe pronta lì con un bel senso di colpa, della serie “se non vuoi farlo per te, fallo per me perché senza te io muoio”.
La figura di Gothel ci riconduce all’archetipo junghiano della Madre e della Madre terrificante.
La prima rappresenta l’aspetto materno protettivo della donna, le sue qualità sono legate alla casa e alla famiglia: la creatrice del focolare, colei che dà il cibo, che è il rifugio, l’amore, la tenerezza. La Madre terrificante rappresenta l’aspetto possessivo, divorante e distruttivo della maternità. Può sorgere in una madre comprensiva, iperprotettiva, che però ad un tratto minaccia la crescita, lo sviluppo, l’indipendenza dell’individuo. La madre che tiene i figli legati a sé con un amore e una dedizione al di fuori del normale.
Qualcuno potrebbe riconoscere in questo personaggio, la propria madre, o temere di mandare messaggi simili ai propri figli.
La madre Gothel è una madre castrante, e qualcuno conferma questa ipotesi soffermandosi sul fatto che la fanciulla viene ripresa solo “affacciata” quindi con la sua metà superiore del corpo in vista rispetto alla parte inferiore. Le madri castranti sono quelle madri iperprotettive, inibenti, ansiogene, preoccupate, simbiotiche. Quelle che vedono il figlio come un eterno bambino anche se è già adulto, spesso riferendosi a lui con vezzeggiativi tipici di una relazione infantile, e che hanno fatto di tutto per non renderlo autonomo, in modo da garantirsi la sua dipendenza anche da adulto (perché è un dramma senza mamma!).
Deriva da ciò, per chi ha avuto questo tipo di figura materna, un’inevitabile distorsione dell’amore e del rapporto di coppia, che può andare da totale incapacità di viverlo, come nel caso degli impotenti/inibiti, alla disorganizzazione affettiva del figlio disorientato che rischia di ricercare in altre attività la sublimazione di un amore mai ricevuto; andando poi per la dipendenza del figlio simbiotico, che vedrà nelle relazioni sentimentali un qualcosa a cui aggrapparsi come al cordone ombelicale da cui ricevere nutrimento; per arrivare al distacco del figlio mentale, che vive i rapporti sentimentali in modo totalmente razionale, che ha una concezione del mondo razionale. Sono questi tutti stili di difesa derivanti dal rapporto malato con la madre castrante: in tutti i casi la corretta integrazione del sé non è avvenuta, mancano delle parti, non si è liberi di essere, perché si è imprigionati nella rete della madre invischiante.
Come se ne esce? Quando supera le passate ferite del rapporto con una madre simbiotica e invadente, l’uomo è libero di sviluppare il lato femminile della sua natura, che Jung ha definito Anima, che mette in contatto l’uomo con i suoi stati più profondi.
Ma torniamo alla nostra Rapunzel, che funzione hanno i “cattivi” delle favole? Servono per far vivere ai bambini i sentimenti negativi senza sentirsi in colpa. Nelle fiabe viene espresso un dilemma esistenziale, dove il male coesiste insieme al bene, e per il bambino diventa uno sviluppo della propria personalità.
Nel caso di Rapunzel, Bettelheim afferma che «Questo processo inizia con la resistenza ai genitori e con la paura di crescere, e termina quando il giovane ha realmente trovato se stesso, ha raggiunto l’indipendenza psicologica e la maturità morale e non vede più l’altro sesso come minaccioso o demoniaco, ma è capace di entrate positivamente in relazione con esso». Le fiabe arricchiscono, più o meno consapevolmente, la vita dei piccoli lettori o ascoltatori. Il bambino ha, di fatto, bisogno soprattutto di ricevere suggerimenti in forma simbolica riguardo al modo con cui poter affrontare questioni cruciali che si presentano nella vita di ciascuno di noi.
Nel lavoro con i bambini, sempre meno si sentono racconti di genitori che narrano le favole della buona notte. Sempre piu comunemente i bambini si addormentano con la televisione, con un tablet o con un videogioco. Questi bambini saranno adulti che avranno difficoltà a crearsi uno spazio di accoglienza e accudimento per le loro sensazioni dolorose. Attraverso le favole e l’uso della metafora, si aiutano i bambini ad interpretare le situazioni in diversi modi e a valutare le alternative possibili per risolverle; insomma, per grandi e piccini, figli di madri Gothel o fidanzate di ladri/principi, sognatori o rassegnati genitori, buone favole a tutti.