Approfondimenti sulla relazione medico-paziente
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Nella medicina scientifica occidentale, la relazione con il paziente è solo un modo, uno strumento per ottenerne la collaborazione e giungere così più agevolmente ad operare sul suo corpo malato; il vero agente terapeutico è il mezzo tecnologico di cui la medicina si serve.
Ben diversa è la posizione della psichiatria che, ponendosi come campo di studio delle relazioni interpersonali, si rivolge soprattutto al corpo vissuto, privilegiando un mondo mentale, simbolico, su cui più che l’intervento mediato da strumenti esterni “concreti” può la relazione in sé fra la persona del medico e quella del paziente.
Nel campo della patologia mentale il corpo non subisce, per lo più, modificazioni rilevabili obiettivamente. Si verifica invece una trasformazione del vissuto soggettivo che pone in primo piano lo scompaginamento di un mondo di significati. Il paziente porta sempre allo psichiatra gli effetti di un conflitto irrisolto, ma contemporaneamente gli porta un’ambivalenza, inconsapevole, che se da un lato lo vuole sano, dall’altro lo determina verso la malattia.
Così stando le cose, il presupposto perché la relazione non diventi parte del problema anziché risolverlo è la creazione di uno spazio in cui la relazione stessa possa insediarsi. Se non c’è spazio “tra” non c’è nemmeno possibilità di conoscenza di sé e dell’altro. E’ la creazione di tale spazio che consente di distinguere l’Io dal non-Io, il mondo interno dal mondo esterno; fino a quando esistono aree di fusione, di “simbiosi”, non è possibile alcuna relazione, e quindi nemmeno individuazione e conoscenza. Indispensabile è allora la capacità di sostenere l’angoscia della separazione, il sentimento di solitudine legato alla percezione della propria individualità; è il panico agorafobico che attacca e distrugge la spinta verso l’individuazione e la conoscenza; è l’ “angoscia impensabile” di Winnicott (andare in pezzi; cadere per sempre; essere senza corpo, senza orientamento ecc.).
Lo “spazio intermediario” che consente la relazione deve essere creato e protetto dalla empatia del terapeuta.
In origine, empatia è ciò che è necessario per apprezzare l’opera d’arte, cioè la proiezione della persona dentro l’oggetto di contemplazione, e il sentirsi dentro di esso; è un conoscere emotivamente più che un comprendere intellettivamente. Il suo vero significato in psicoterapia è sintetizzato da Kohut, che la definisce “introspezione vicariante”, cioè un modo di guardare se stessi per mezzo di un altro; è la capacità di comprensione del mondo psichico altrui attraverso la via dell’identificazione, è sapersi identificare con l’altro rimanendo contemporaneamente sé stessi in modo tale da comprenderlo come persona ed allo stesso tempo osservarlo nelle sue manifestazioni cliniche. Il coinvolgimento emotivo della madre col bambino è il prototipo dell’atteggiamento empatico, del conoscere emotivamente.
L’atteggiamento empatico tende a facilitare l’espressione del proprio vissuto da parte dell’intervistato. Questo “dare spazio”, d’altra parte, consente di valutare il livello di consapevolezza del soggetto rispetto ai propri sintomi o problemi, evidenziando innanzitutto la presenza o meno di un deficit nella capacità di aderire ad una concezione cognitiva condivisibile della realtà (esame di realtà). A tale proposito, è possibile individuare una gradazione nei livelli di consapevolezza, che può essere completa, incompleta o assente. Quanto minore è la consapevolezza, tanto più l’attenzione dell’intervistatore dovrà passare dai contenuti al processo del colloquio stesso, nel tentativo di ottenere la collaborazione dell’intervistato.
Oltre all’esame di realtà, è possibile evidenziare alcune caratteristiche della relazione che sono tipiche delle diverse forme di psicopatologia: l’incapacità di usare adeguatamente la comunicazione interumana e di fondare una dimensione intersoggettiva del paziente schizofrenico; l’attacco alla relazione mediante il passaggio all’atto (acting out) del borderline; l’eccessiva dipendenza in funzione della perdita dell’autostima del paziente depresso; il “contagio” psichico legato alla qualità immediatamente relazionale dell’ansia e l’incapacità di controllo emozionale del paziente ansioso.
Esistono poi caratteristiche della relazione terapeutica che sono peculiari di ciascuna delle tre principali prospettive teorico-metodologiche.