Il disturbo oppositivo provocatorio
Il disturbo oppositivo provocatorio fa parte dei disturbi da comportamento dirompente e della condotta e definito come “un modello di umore arrabbiato/irritabile, comportamento polemico/provocatorio o vendicativo” nei bambini e negli adolescenti.
Se le prime manifestazioni del disturbo si incominciano ad intravedere intorno ai 3-4 anni, sarà soltanto con l’ingresso a scuola del bambino che il problema diverrà sempre più evidente. Questi bambini, infatti, mostrano una totale incapacità di adattamento alle regole scolastiche ed il loro anticonformismo finirà col condizionare l’attività didattica dell’intera classe.
Anche se dotati di un normale livello intellettivo, difficilmente potranno conseguire buoni risultati, in quanto non prestano ascolto alle direttive degli insegnanti e rifiutano qualsiasi tipo di aiuto da parte dei compagni, rendendo quasi certo lo sviluppo di un disturbo dell’apprendimento.
La loro presenza in aula crea talmente tanto scompiglio che le maestre si convincono, sempre più che il modo migliore per garantire il prosieguo delle lezioni, consista nell’ignorarne gli atteggiamenti, ma anche questa scelta non sarà facile da attuare.
Il soggetto oppositivo provocatorio, infatti, ha una gran maestria nel fare andare a monte qualsiasi tipo di attività, anche se ben organizzata. Scatena risate generali, innervosisce i compagni, ribalta le sedie assume un atteggiamento di passivo rifiuto nei confronti di chiunque cerchi di avvicinarsi. Mette in atto una sorta di resistenza verbale, pronunciando frasi del genere “non può dirmi quello che devo fare” e cerca di attirare l’attenzione dei compagni facendo commenti spregevoli sull’insegnante o imitandone i gesti. Fa smorfie, guarda in un’altra direzione quando si parla con lui, fa apposta quello che gli si dice di non fare. Se rimproverato può far finta di niente o fingere di ascoltare tacitamente e scoppiare a ridere proprio nel momento in cui si credeva di averlo intimorito.
Per affrontare le problematiche comportamentali, è necessario ricorrere ad interventi clinici integrati, che coinvolgano congiuntamente il bambino e la coppia genitoriale.
È importante che questo accada perché il piccolo paziente, attraverso la sua sintomatologia, esprime una condizione di disagio che coinvolge tutto quanto il nucleo domestico, quindi, un’azione globale sulle dinamiche inter-familiari, diviene necessaria per favorire l’estinguersi delle condotte problematiche. Convivere con un bambino difficile è un’esperienza altamente impegnativa e stressante, che determina sofferenza e smarrimento.
I genitori, di fronte alla patologia del figlio, possono sviluppare sensi di colpa, sentimenti di inadeguatezza, possono convincersi di aver mancato qualcosa e di avere così determinato l’insorgenza del problema.
Possono anche non sapere come fronteggiare il disturbo e a causa di disinformazione in materia di pratiche educative, possono, in maniera non consapevole, contribuire essi stessi ad una sua intensificazione. Tutti questi fattori hanno spinto i clinici a sviluppare degli interventi di sostegno per i genitori, al fine di aiutarli nell’adempimento delle loro funzioni anche in presenza di condizioni gravemente problematiche. Gli interventi attualmente utilizzati sono di diverso tipo e possono essere indirizzati ai genitori ed alla famiglia del paziente, alle sue funzioni cognitive e sociali, al gruppo dei pari o scolastico, alla comunità globalmente.
Insieme all’aiuto del terapeuta si possono imparare delle tecniche comportamentali per aiutare sia il bambino che i genitori a mitigare gli atteggiamenti e riconoscere ed arrestare i circoli viziosi che portano alla persistenza del problema.