Il gioco che cura
“ è bene ricordare che il gioco è esso stesso una terapia.
Fare in modo che i bambini siano messi in condizione di giocare
È di per sé una psicoterapia che ha applicazione immediata ed Universale.“
(D.Winnicott- gioco e realtà)
Nel suo soggiorno apprese la tecnica che la Lowenfeld chiamava “Gioco del Mondo” e utilizzava per la terapia dei bambini, sfruttando l’effetto catartico del gioco.
La Kalff intuì che i materiali del “gioco del mondo” potevano essere utilizzati oltre che per dare corpo all’inconscio infantile, anche per contattare quel mondo intrapsichico arcaico e transpersonale teorizzato da Jung e a cui i bambini sono ancora così vicini nei loro giochi.
Tornata a Zurigo, ottenne di poter utilizzare la tecnica, riconoscendo al gioco un ruolo fondamentale per il mantenimento ed il ritrovamento della salute psichica affermando che l’essere umano realizza se stesso solo quando gioca.
La Sandplay therapy è un processo di ricostruzione psichica che si realizza attraverso un doppio percorso.
Da una parte lo spazio libero e protetto della cassetta della sabbia permette la riunificazione di parti scisse della personalità e dall’altro ha la capacità di arrivare e sperimentare aspetti archetipici mai contattati;
Il gioco è considerato fondamentale per la nascita della vita psichica.
In alcuni miti greci il dio crea il mondo giocando; nella tradizione ebraica o induista l’incessante danza della Sapienza o del dio Shiva creano e trasformano il mondo, ma nello stesso tempo intrecciano un gioco. L’uomo che gioca, imitando il dio che gioca, recupera il rapporto con quell’area di creatività primaria, da cui attinge energia per realizzare il proprio progetto di mondo.
“Una occupazione volontaria compiuta entro certi limiti di tempo e di spazio, secondo una regola volontariamente assunta, e che tuttavia impegna in maniera assoluta, che ha un fine in se stessa, accompagnata da un senso di tensione e di gioia e dalla coscienza di essere diversi dalla vita ordinaria” (J.Huzinga)
Attraverso il gioco i bambini, ma anche gli adulti possono annullare il tempo ordinario perché il tempo e lo spazio del gioco sono diversi dal tempo e dallo spazio della vita reale, trasportano il giocatore in una dimensione immaginale che appartiene anche al mito e alla favola, un’area intermedia che lo assimilano ai fenomeni transizionali di cui parla Winnicott.
Gli accenni all’importanza del gioco, presenti nelle teorie psicologiche della prima parte del secolo, in cui si riconosce al gioco una importanza fondamentale nel modellare e strutturare l’equilibrio psichico e si considera la perdita della capacitò di giocare, uno dei sintomi più precoci di un disagio psicologico.
Il gioco non rappresenta soltanto un’area piacevole e libera di tensioni ma nasconde al suo interno una miscela di emozioni dell’individuo che gioca, emozioni non sempre di natura piacevole, nel gioco sono presenti anche l’ansia, la paura, l’angoscia, l’incertezza, le aspettative e i desideri del giocatore, la cui attività costituisce la porta di accesso all’area della creatività e del cambiamento, ma ha come punto di partenza la rappresentazione del proprio dramma interiore.
Jung inserisce tra i cinque gruppi di istinti anche l’’istinto del gioco, mettendolo in connessione con la creatività e la trasformazione.
Sono gli anni in cui il gioco comincia a interessare i teorici della psicoanalisi infantile, come la M. Klein e A. Freud e in cui Moreno inizia a sperimentare lo psicodramma come gioco terapeutico per adulti. Leggendo il gioco come attività essenziale per la psiche tanto nel bambino che nell’adulto, questi autori lo collocano allo stesso livello dei sogni, come via principale per dare forma e visibilità ai fantasmi dell’inconscio.